Seduta del 7/9/2005

 

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Seguito dell'esame testimoniale di Ali Mahdi.
 

N. B. La deposizione del teste è stata resa in parte in lingua italiana e in parte in lingua somala. La traduzione, ove necessaria, è stata effettuata da un interprete.
 

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame testimoniale del signor Ali Mahdi, ex presidente della Repubblica somala, con il quale torneremo su un tema, che vorrei fosse messo un po' più a fuoco: mi riferisco alla vicenda del disarmo di Ali Mahdi e al trattamento differenziato nei confronti di Aidid.
Le dico questo, signor Ali Mahdi, perché abbiamo recuperato alcuni atti - soprattutto informative che provengono dai nostri servizi di informazione (questa volta non dal Sismi, bensì dal Sisde) - che calcano molto la mano su tale problematica. Insistono, cioè, nel dire che tale situazione abbia attivato contrasti a vario livello ma soprattutto, direi, quel disappunto nei confronti degli italiani che si è andato poi ingrossandosi a ridosso della partenza del contingente italiano.
Vorrei che le fosse chiara la ragione della mia insistenza su tale argomento: stiamo cercando di capire, rispetto ad un evento quale l'uccisione dei due giornalisti, cosa fosse accaduto nell'immediatezza di

 

 

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quel 20 marzo 1994, giorno del duplice omicidio nonché data della partenza del contingente italiano. Da parte dei nostri servizi di informazione tale circostanza risulta molto marcata, molto sottolineata.
Accanto a questa domanda, vi è un'ulteriore precisazione. Abbiamo accertato che due o tre giorni prima dell'uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, nel corso di una riunione conviviale a casa di Giancarlo Marocchino, quest'ultimo ebbe ad avvertire le persone presenti - in particolare, i giornalisti - della preoccupazione che si potessero fare dei sequestri ai danni di italiani; tant'è vero che, per questa ragione, tutti partirono. Ma Ilaria Alpi questa notizia non l'apprese, in quanto era a Bosaso.
Allora, le chiedo innanzitutto se le risultino tali circostanze; inoltre, le saremmo grati se ci potesse dare ulteriori delucidazioni, senza però scantonare o evitare di rispondere.
 

ALI MAHDI. Rispondo riferendomi a quello che so. Non mi piace rispondere su quel che non so. Rispondo su ciò di cui sono al corrente.
 

PRESIDENTE. Certamente.
 

ALI MAHDI. Per quanto riguarda il disarmo di Mogadiscio nord, questa non era una cosa forzata ma una decisione presa da me e dai capi fazione del mio partito. Dunque, non era una cosa forzata ma una cosa spontanea; e non mi risulta che siano nati scontri o odio nei confronti degli italiani.
 

PRESIDENTE. Però, lei ieri ha detto che tale contrasto si era accentuato, in quel periodo, nei confronti di chi non aveva usato lo stesso comportamento, e cioè nei confronti di Aidid.
 

ALI MAHDI. Il contrasto era tra me e Loi, non con il contingente italiano. Non c'è mai stato nessuno scontro, nessuna discordia con il contingente italiano, ma solo con Loi. L'ho detto prima e lo ripeto adesso. Quando c'era Fiore, siamo andati sempre bene, abbiamo avuto sempre un rapporto di collaborazione.
 

PRESIDENTE. Le leggo, adesso, alcune informative dei nostri servizi.
Cominciamo con una nota del 15 luglio 1993, relativa alle conseguenze del bombardamento su Mogadiscio compiuto dall'aviazione USA il precedente 12 luglio, finalizzato alla eliminazione di Aidid: «Si segnalano reazioni nel mondo islamico. Da notizie giunte da Islamabad sembra che il clan di Aidid - haber ghedir - abbia scritto agli integralisti islamici di origine pakistana riferendo delle azioni brutali perpetrate dai militari pakistani in Somalia, per chiedere che costoro, al loro rientro in patria, vengano giudicati da un tribunale islamico per crimini contro i fratelli musulmani. Si fa inoltre presente che l'ambasciatore somalo in Pakistan, Abdi Agi Ahmed Liban, del sottoclan di Aidid, sta diffondendo opere di propaganda nel mondo islamico, sostenendo la tesi di Aidid sulla "guerra santa" contro gli USA e i loro alleati. Non è da escludere che il clan haber ghedir, nell'immediato futuro, possa compiere azioni di rappresaglia in forma terroristica contro cittadini o interessi USA o contro gli alleati ONU, sia all'interno della Somalia che all'estero».
Le risulta questa circostanza?
 

ALI MAHDI. Mi risulta che ci sono stati scontri, guerre e bombardamenti tra il clan di Aidid e gli americani, però non mi risulta che si trattasse di propaganda o di qualcosa che riguardava la religione.
 

PRESIDENTE. L'informativa, però, dice un'altra cosa. Le faccio altresì rilevare che lei non ha ancora risposto ad una mia precedente domanda: ha mai saputo che Giancarlo Marocchino aveva fatto presente a molti italiani - tra i quali alcuni giornalisti - che, in relazione al clima che stava cambiando, erano in preparazione sequestri di occidentali in genere e, comunque, anche di giornalisti italiani?

 

 

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ALI MAHDI. Signor presidente, mi scusi, ma io non potevo sapere quel che succedeva fra gli italiani, o quel che si dicevano gli italiani.
 

PRESIDENTE. Va bene, prendiamo atto anche di questa sua affermazione.
Torniamo alla precedente domanda: vorrei sapere se, all'esito del bombardamento compiuto dagli USA, fossero effettivamente comparsi comportamenti da parte somala con i quali si intendeva in qualche modo reagire a tale azione.
 

ALI MAHDI. Il popolo somalo, e specialmente i seguaci di Aidid, hanno reagito contro gli americani, quando gli americani volevano prendere Aidid per giustiziarlo. Hanno fatto una guerra contro gli americani.
 

PRESIDENTE. Quando?
 

ALI MAHDI. Nel 1993.
 

PRESIDENTE. Le leggo, ora, una nota del 7 febbraio 1994, ovvero un mese e qualche giorno prima dell'uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. In tale nota, i nostri servizi dichiarano: «Nell'approssimarsi del ritiro del contingente Unosom dalla Somalia, a Mogadiscio la tensione è molto alta». È vero?
 

ALI MAHDI. È vero. La tensione era molto alta perché i somali si aspettavano che il contingente disarmasse il popolo somalo e istituisse un Governo. Ciò non gli piaceva e non volevano che il contingente andasse via.
 

PRESIDENTE. «La popolazione» - prosegue la nota dei servizi - «vive nell'angoscia di ciò che avverrà all'indomani del 31 marzo. I fuorilegge hanno tirato fuori senza timore le loro armi ed hanno già attaccato nella scorsa settimana ben quattro posti dell'organizzazione Unosom: l'ambasciata italiana, il contingente degli Emirati Arabi, il contingente USA e un campo di distribuzione dei cibi di un'organizzazione umanitaria. A Baidoa, inoltre, è stata lanciata una bomba in un campo Unosom, poiché sembra che tale organizzazione abbia intenzione di attuare un piano di sviluppo futuro per le regioni nelle quali essa si è insediata è cioè Baidoa, Bakol, Gedo, Johar. Il progetto Unosom non è ben visto dai signori della guerra ed in specie da Aidid, i quali invierebbero cecchini per azioni di disturbo».
È vero o non è vero?
 

ALI MAHDI. È vero.
 

PRESIDENTE. Si spieghi.
 

ALI MAHDI. È vero perché, come ho già detto, nella guerra all'interno del popolo somalo stesso, tra il nord e il sud, sono morte centinaia e centinaia di persone. Avevano paura, se i contingenti internazionali se ne fossero andati via dalla Somalia, che le uccisioni sarebbero andate oltre Mogadiscio e in tutta la Somalia. Perciò, per la furia, alcuni giovani hanno fatto tutti quei saccheggi.
 

PRESIDENTE. D'accordo. Tuttavia, signor Ali Mahdi, qui c'è un problema: ieri, nella prima parte del suo esame testimoniale, lei ha collocato la vicenda dei saccheggi in tempi successivi all'uccisione di Ilaria Alpi. In questa nota, invece, si è al 7 febbraio 1994. Per quanto concerne la presenza di cecchini, ai fini di azioni di disturbo, questa è una fotografia al 7 febbraio 1994!
 

ALI MAHDI. Signor presidente, oggi, nel 2005, in Somalia vi sono ancora saccheggi ed uccisioni.
 

PRESIDENTE. A noi dispiace molto, però vorremmo sapere qual era la situazione nel marzo 1994.
 

ALI MAHDI. So che in Somalia, a Mogadiscio, c'era disordine da ogni parte.
 

PRESIDENTE. Dunque, dal punto di vista cronologico, dobbiamo contestualizzare il disordine anche a quella data.

 

 

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«L'ONU» - prosegue il servizio d'informazione - «ha rinnovato per un anno il mandato di permanenza in Somalia dell'ammiraglio Howe, comandante in capo delle forze multinazionali nel predetto paese; fonti ufficiose riferiscono che questi, per motivi di sicurezza, intende spostare la sede del comando da Mogadiscio, divenuta ormai un campo di battaglia, a Baidoa, forse anche per isolare i signori della guerra. Si spiegherebbe così anche il crescendo delle azioni dei fuorilegge in segno di boicottaggio della politica dell'Unosom». Che cosa può dire, al riguardo?
 

ALI MAHDI. Non mi risulta che l'ammiraglio Howe abbia mai avuto sede in Baidoa o in altra località. Ha sempre avuto sede a Mogadiscio, fino all'ultimo giorno.
 

PRESIDENTE. Infatti, la nota non dice che egli si sia spostato, bensì che si sarebbe voluto spostare a Baidoa. Intendevo chiederle, però, un'altra cosa. Nella nota si dice che fonti ufficiose riferiscono che l'ammiraglio Howe, per motivi di sicurezza, intende spostare la sede del comando. Si spiegherebbe così anche il crescendo delle azioni dei fuorilegge, in segno di boicottaggio della politica dell'Unosom.
Insomma, al 7 febbraio 1994, a Mogadiscio le azioni dei fuorilegge c'erano o non c'erano?
 

ALI MAHDI. Ci sono sempre state, da allora fino ad oggi.
 

PRESIDENTE. Il 14 febbraio 1994, i nostri servizi scrivono: «Gli appartenenti alla fazione abgal, ostile ad Aidid, sostengono di essere stati ingannati dagli italiani, poiché a suo tempo convinti da loro a consegnare le armi, mentre ai miliziani di Aidid le hanno lasciate. Per questo motivo hanno intenzione di riappropriarsi dei loro armamenti con ogni mezzo, non escluso l'uso della violenza, attraverso attacchi diretti alle postazioni militari o attraverso il sequestro di nostri connazionali».
Siamo, come le ho detto, al 14 febbraio 1994. Riconosce come vera la situazione descritta dai servizi italiani?
 

ALI MAHDI. No, non la riconosco. Non la riconosco, perché ho consegnato le armi e gli italiani mi hanno dato uno scritto formale, dicendo che mi restituivano le armi se non venivano prese anche ad Aidid. Perciò, non c'era motivo di preoccuparci se le nostre armi fossero state portate via.
 

PRESIDENTE. Ma all'interno del clan abgal avrebbe potuto esserci un gruppo di persone che la pensassero diversamente?
 

ALI MAHDI. No, per i clan lo decidevano alcune persone.
 

PRESIDENTE. Che significa? Non ho capito, mi scusi.
 

ALI MAHDI. Erano i loro capi che decidevano.
 

PRESIDENTE. In pratica, lei.
 

ALI MAHDI. Sì, io e i miei collaboratori.
 

PRESIDENTE. Insomma, non è vero che vi ritenevate ingannati dagli italiani?
 

ALI MAHDI. Non è vero, assolutamente.
 

PRESIDENTE. E che volevate riprendervi le armi, è vero o non è vero?
 

ALI MAHDI. Se disarmavano Aidid, non le volevamo. Però, se non veniva disarmato Aidid, rivolevamo indietro le nostre armi.
 

PRESIDENTE. Praticamente, è la stessa cosa.
La nota prosegue in questi termini: «Nel periodo di tempo che resta ai contingenti multinazionali dell'ONU per la partenza dalla Somalia, si rinfocolano le ostilità tribali ed il crescendo delle rivendicazioni

 

 

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territoriali; si registra un aumento dell'attività di bande di fuorilegge, che vanno a caccia di tutto ciò che dispongono le organizzazioni umanitarie da tempo presenti in Somalia. Le fazioni che si stanno preparando alla guerra civile sono le seguenti: USC (Ali Mahdi), SNF (clan marehan), SSDF (Migiurtinia), tutte e tre ben armate».
 

ALI MAHDI. Non è vero.
 

PRESIDENTE. Che cos'era l'USC?
 

ALI MAHDI. La mia organizzazione.
 

PRESIDENTE. Che cosa significa questa sigla?
 

ALI MAHDI. United Somali Congress.
 

PRESIDENTE. E che funzioni aveva? Che cosa faceva?
 

ALI MAHDI. È come un partito.
 

PRESIDENTE. Le leggo una nota del 23 febbraio 1994: «Prima dell'arrivo dei contingenti ONU in Somalia, Mohamed Ali Dahir, Sheik Ali Versame, detto Kibis, Hassan Dahi Awes, del clan di Aidid, ex colonnello, che facevano capo presso le principali città portuali del paese, prendevano forti somme di denaro dai fedeli per far fronte sia alle loro spese personali che alle spese per la propaganda dell'organizzazione Al Ittihad Al Islam. Ora che i contingenti ONU stanno per lasciare la Somalia, i tre esponenti integralisti vogliono riconquistare i privilegi perduti, propalando la cacciata dell'uomo bianco, creando insicurezza nel paese e propugnando una politica amministrata dall'organizzazione internazionale Al Ittihad Al Islam, guidata dai Governi del Sudan e dell'Iran, con la speranza della costituzione in Somalia di una Repubblica islamica. Su questi progetti è d'accordo anche il generale Aidid e ciò costituirebbe la sua arma segreta, da rivelare al momento più opportuno, nonostante le assicurazioni di pace rilasciate alla stampa a seguito del suo recente incontro con il sottosegretario agli affari esteri italiano a Nairobi».
 

ALI MAHDI. Non c'è dubbio che persone che fanno parte dell'organizzazione Al Ittihad Al Islam si trovano in Somalia; ve ne sono a Mogadiscio, e non perché chiedono aiuto ai somali o per fare propaganda, dato che loro hanno anche i soldi. Sono loro che pagano le persone per far parte della loro organizzazione. L'aiuto lo trovano da molti paesi arabi, in denaro.
 

PRESIDENTE. A questo punto, debbo farle una contestazione.
Dalle risposte che lei ha dato ieri alle mie domande, avevo capito che del problema dell'Islam (a cominciare dalle corti islamiche) non se ne potesse parlare, se non a partire dal 1996. Ora, sappiamo tutti cosa sia Al Ittihad Al Islam, soprattutto per quel che è accaduto successivamente a quella data e per quel che sta succedendo attualmente in Somalia; sappiamo perfettamente della presenza di un campo di Al Qaeda a Mogadiscio. Ieri, però, nella prima parte del suo esame testimoniale, lei non ci ha parlato di una presenza di Al Ittihad Al Islam alla data certificata dai nostri servizi, ovvero nel febbraio 1994. E stiamo parlando di un'organizzazione islamica integralista, già operante allora! Che non vi fossero le corti islamiche, è un altro discorso; l'organizzazione integralista islamica di cui stiamo parlando era già presente: dico bene?
 

ALI MAHDI. Ieri non abbiamo parlato di Al Ittihad Al Islam ma solo delle corti islamiche. Nel 1992, io stesso sono andato a parlare con l'ambasciatore americano a Mogadiscio e gli ho detto: se non sostenete il mio Governo, vi sarà un problema. Adesso sono pochi quelli che appartengono all'organizzazione Al Ittihad Al Islam, però un domani potrebbero aumentare e diffondersi per tutta la Somalia, non solo a Mogadiscio, ed anche nei paesi vicini.
 

PRESIDENTE. Ricapitolando, nel periodo di nostro interesse - ovvero, nel

 

 

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1994 - non c'erano le corti islamiche, mentre l'organizzazione Al Ittihad Al Islam era operativa. È così?
 

ALI MAHDI. Confermo: nel 1994 non c'era la corte islamica. Però Al Ittihad Al Islam c'era, non solo nel 1992 o nel 1994, bensì anche quando vi era Siad Barre.
 

PRESIDENTE. Perfetto. Le anticipo ora un tema, che mi è stato suggerito dalla nota del Sisde che le ho letto in precedenza: da quel che hanno capito i nostri servizi, Al Ittihad Al Islam era gradita ad Aidid ma non a lei. Conferma?
 

ALI MAHDI. Non posso dire se Aidid gradiva oppure non gradiva questa presenza. Io parlo di me e del popolo somalo e so che al popolo somalo non piaceva e non piace l'integralismo.
 

PRESIDENTE. Lei ha avuto rapporti con questi integralisti?
 

ALI MAHDI. Mai!
 

PRESIDENTE. Ovvero, li ha esclusi dalla sua area?
 

ALI MAHDI. Sì.
 

PRESIDENTE. Al Ittihad Al Islam era presente a Mogadiscio nord?
 

ALI MAHDI. Sì, c'era.
 

PRESIDENTE. E lei come governava tale situazione?
 

ALI MAHDI. Come uno che badava agli affari suoi. Non abbiamo mai avuto a che fare.
 

PRESIDENTE. Ci risulta che la prima corte islamica fu costituita a Mogadiscio nord.
 

ALI MAHDI. A Mogadiscio nord, esatto.
 

PRESIDENTE. Vicino al palazzo del Coni, se non sbaglio.
 

ALI MAHDI. Esatto. Quelli erano i sunniti, non i fanatici.
 

PRESIDENTE. Con costoro lei aveva un buon rapporto?
 

ALI MAHDI. Avevo un buon rapporto, perché dovevo mettere in ordine la nostra società.
 

PRESIDENTE. Chi comandava, dal punto di vista della società civile? Era lei a comandare o comandava la corte islamica?
 

ALI MAHDI. Può ripetere?
 

PRESIDENTE. Sul suo territorio, a Mogadiscio nord, chi era che comandava la società civile? Era lei o la corte islamica?
 

ALI MAHDI. Insieme.
 

PRESIDENTE. Per quanto tempo, avete operato insieme?
 

ALI MAHDI. Sei mesi.
 

PRESIDENTE. Dopodiché, chi è che se n'è andato? Lei o loro?
 

ALI MAHDI. Io. Dopo sei mesi.
 

PRESIDENTE. In che anno?
 

ALI MAHDI. Era il 1996, se non sbaglio.
 

PRESIDENTE. Loro sono rimasti, mentre lei se n'è andato.
 

ALI MAHDI. Sì, io me ne sono andato.
 

PRESIDENTE. Dunque, se ho capito bene, il rapporto non era buono.
Per quel che lei vedeva dall'esterno, qual era il rapporto tra Aidid e Al Ittihad? Glielo chiedo perché la nota dei servizi prosegue in questi termini: «Su questi progetti è d'accordo il generale Aidid; ciò costituirebbe la sua arma segreta, da rivelare al momento più opportuno, nonostante

 

 

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le assicurazioni di pace». Quindi, Aidid rilasciava assicurazioni di pace ma in realtà aveva un'arma segreta per imporre l'ordine attraverso una Repubblica islamica in Somalia.
 

ALI MAHDI. Non mi risulta; può capitare, quando una persona impazzisce e vuole avere a tutti i costi il potere, e fare qualsiasi cosa. Aidid non era una persona religiosa o una persona che aveva studiato o approfondito la religione. Non mi risulta, non lo so, ma potrebbe anche essere così.
 

PRESIDENTE. Va bene, parliamo delle cose che sa e non delle cose che dovrebbe supporre.
Che lei sappia, al tempo che ci interessa - ovvero, nel 1994 - l'organizzazione Al Ittihad Al Islam disponeva di personale, di strumenti attraverso i quali far rispettare la legge islamica, in particolare la sharia?
 

ALI MAHDI. Non lo nego, è chiarissimo. Questa è un'organizzazione nata da anni. Si sono organizzati in maniera economica, veramente...
 

PRESIDENTE. Applicavano delle sanzioni?
 

ALI MAHDI. No, non hanno mai applicato sanzioni.
 

PRESIDENTE. Se un individuo fosse andato contro la legge islamica, che cosa avrebbero fatto?
 

ALI MAHDI. Non facevano niente. Fino adesso, non fanno niente. Loro si stanno preparando per prendere il potere nel paese e fare un Governo islamico: questa è la loro intenzione. Devono arrivare a questo.
 

PRESIDENTE. Avrebbero voluto farlo, intende dire?
 

ALI MAHDI. Se avessero trovato l'occasione, lo avrebbero fatto. Adesso non hanno il potere.
 

PRESIDENTE. Parliamo dei costumi; ad esempio, per quel che riguarda il rapporto con le donne, che tipo di regole dettavano alla cittadinanza? Davano delle regole che corrispondevano alle norme della sharia?
 

ALI MAHDI. Per fare certe cose, per deliberare delle leggi, bisogna avere il potere.
 

PRESIDENTE. C'è il Corano, però.
 

ALI MAHDI. Il Corano è lì, su un libro; per applicarlo ci vuole la forza.
 

PRESIDENTE. C'era, la forza?
 

ALI MAHDI. No, non c'era.
 

PRESIDENTE. Non avevano forse delle squadre, con le quali operavano in città?
 

ALI MAHDI. Qualcosa avevano. Qualcosa hanno, però fino ad ora non hanno applicato niente.
 

PRESIDENTE. Non avevano delle squadre di ragazzi, di giovani armati?
 

ALI MAHDI. Sì, ce l'hanno. Però non facevano niente, come ordine...
 

PRESIDENTE. Insomma, era per bellezza.
 

ALI MAHDI. No, era una preparazione per prendere il potere. Si preparano.
 

PRESIDENTE. Ho capito. Andiamo avanti.
Le ho fatto tutte queste domande per una ragione, suggerita nei contenuti della nota del Sisde del 22 marzo 1994 (Ilaria Alpi è morta da due giorni): «Si dà conferma che l'omicidio è da attribuirsi a banditi che collaborano con gli integralisti islamici di Al Ittihad Al Islam, secondo una tattica di attacco che colpisce sempre i contingenti in partenza. Specie per gli italiani, il pericolo più volte segnalato è da ritenersi maggiore per via del disarmo

 

 

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della fazione abgal, contraria ad Aidid, avvenuto nei primi giorni dell'arrivo dei militari italiani in Somalia. L'azione criminosa - l'uccisione dei due giornalisti - non aveva certamente lo scopo del sequestro di persona o della rapina ma quello di affermare una supremazia di ideologia politico-religiosa guidata dagli integralisti, che si sentono vittoriosi in una guerra civile in corso ormai in tutto il Corno d'Africa, da Bosaso a Chisimaio».
 

ALI MAHDI. Ieri ho detto che l'uccisione potrebbe esserci stata per alcuni motivi. Tra questi ho detto anche che qualcuno poteva voler fare un dispetto per la mia politica, qualcuno voleva fare un sequestro o rapinarli o addirittura potrebbero anche essere finiti in una sparatoria tra la scorta e le persone che hanno ammazzato. Però non escludo anche il fatto che potrebbero essere stati uccisi da persone che sono venute dal nord o dal sud di Mogadiscio anche per questo motivo. Non lo escludo.
 

PRESIDENTE. Ma con i «non escludo» non ci facciamo niente... Noi vorremmo sapere la sua opinione, secondo le sue consapevolezze, rispetto a queste varie ipotesi che vengono fatte, anche se questa per la verità non è più un'ipotesi, perché è la conferma di un'ipotesi. C'è qualcosa di più, c'è un'insistenza su questo argomento che proviene dalle note precedenti, sulle quali ci siamo già soffermati ed attraverso le quali, grazie alla sua conferma, abbiamo ricostruito un po' meglio il periodo.
Per quelle che sono le sue conoscenze, che certamente sono migliori delle nostre, fra le varie soluzioni, fra le varie tesi, quali sono gli elementi che saprebbe indicare alla Commissione a sostegno di una in particolare o di più di una, se crede?
 

ALI MAHDI. Non posso confermare, non posso indicare oggi alla Commissione un'ipotesi sull'uccisione. Vi possono essere alcuni motivi, però non posso dire questo, perché non lo so.
 

PRESIDENTE. Lasciamo stare quello che sa. Ho capito che lei interpreta le cose a suo modo e a suo comodo, ma qual è la sua interpretazione di questa vicenda? Lei non può non essersi interrogato su che cosa può essere successo, sul perché possa essere successo, su chi possa averlo fatto. Al di là dei nomi e dei cognomi, vorrei conoscere la sua interpretazione, che è un'interpretazione autorevole, poiché lei è stato il presidente della Somalia e la sua autorevolezza è forte. Qual è la sua interpretazione? Che ne pensa? In questo momento non è una testimonianza.
 

ALI MAHDI. Signor presidente, so che non è una testimonianza. Prima di tutto, quando succedevano tutte queste cose ero a Nairobi e non lo sapevo. La giornalista e l'altro signore sono stati uccisi a nord di Mogadiscio, come sappiamo tutti. Perché sono stati uccisi? Se lei mi chiede perché sono stati uccisi, è una domanda alla quale non posso rispondere alla Commissione.
 

PRESIDENTE. Che cosa pensa sul perché e sul chi? Senza fare nomi, non ci interessano i nomi.
 

ALI MAHDI. Non posso fare i nomi, perché non li so.
 

PRESIDENTE. Non le sto chiedendo i nomi.
 

ALI MAHDI. Non lo so.
 

PRESIDENTE. Qual è l'ambiente di provenienza di chi ha mandato ad uccidere queste persone?
 

ALI MAHDI. Come ho detto, sicuramente, sono stati dei somali ad uccidere, su questo non c'è dubbio. Se questi somali sono venuti da nord o da sud io non lo posso dire. Veramente mi dispiace, perché se lo sapessi glielo avrei detto non oggi, ma precedentemente, avrei fatto sapere allo Stato italiano che ad uccidere questi signori sono stati Tizio e Caio. Lo avrei già detto, dal mio paese, non in Italia. Se non lo conosco, se non lo so, come faccio a dire il motivo? Se era per motivi religiosi o per altri motivi non posso dirlo.

 

 

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PRESIDENTE. Ma io le ho chiesto una sua interpretazione. Sono stati uccisi degli italiani il 20 marzo del 1994, quando il contingente era in partenza, proprio quel giorno. Come già le abbiamo anticipato ieri, noi abbiamo accertato che le persone che poi hanno fatto l'agguato nei confronti di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin dalla sera precedente si trovavano sul posto per fare questa operazione - non dico che volessero fare questa operazione nei confronti dei due giornalisti -; avendo a disposizione questo tassello, è possibile che lei non riesca a dare un'interpretazione di quello che è successo nel suo territorio?
 

ALI MAHDI. Non la posso dare. Io sono una persona onesta, che non vuole dire cose che non sa.
 

PRESIDENTE. Per esempio, come le ho ricordato più volte, Marocchino - adesso le dico anche con precisione i tempi -, mi pare il giovedì precedente aveva questa riunione a casa, dalla quale uscì per andare non sappiamo dove e per poi tornare e dire: signori, state attenti, perché vogliono fare un sequestro, anzi un rapimento di un italiano. Questo lo sa Marocchino. Il fatto che si potessero fare dei rapimenti in danno di italiani, o addirittura di giornalisti, è possibile che siano cose che al suo orecchio non sono arrivate?
 

ALI MAHDI. Non sono arrivate.
 

PRESIDENTE. Non è possibile.
 

ALI MAHDI. È possibilissimo, signor presidente, perché se gli italiani erano a casa di Marocchino, come lei dice, è Marocchino che va in paese, in giro e lo avrà sentito.
 

PRESIDENTE. Ma a lei di quello che succedeva nel suo territorio chi la informava?
 

ALI MAHDI. I miei collaboratori. C'era il generale Gilao che era addetto alle informazioni; non me lo ha mai detto, mai. È un generale capace che ha lavorato per le informazioni per venti, trent'anni. Chi sa più di lui?
 

PRESIDENTE. Era un informatore fasullo.
 

ALI MAHDI. No, era un generale, signor presidente.
 

PRESIDENTE. Un generale che, mentre Marocchino sapeva, lui non sapeva. È un generale che non sapeva.
Lei ha mai conosciuto Omar Mugne?
 

ALI MAHDI. Conosco Mugne.
 

PRESIDENTE. Chi era?
 

ALI MAHDI. Di nome e di persona lo conosco.
 

PRESIDENTE. Avete fatto lavori insieme, affari insieme?
 

ALI MAHDI. No, era un uomo di Siad Barre. Era il direttore generale della Shifco e lì lo conosco.
 

PRESIDENTE. Lei e Mugne avete lavorato insieme?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. Mai?
 

ALI MAHDI. No, mai.
 

PRESIDENTE. «Voci circolanti in Somalia dicono che l'uccisione della giornalista italiana e dell'operatore sia stata conseguenza della missione che i due italiani avrebbero effettuato a Bosaso, nella quale avrebbero visitato la motonave XXI Ottobre della Somalfish, sequestrata dai miliziani della SSDF, ed effettuato un servizio fotografico. La giornalista avrebbe inoltre sul posto raccolto informazioni riguardanti la vicenda del sequestro della nave e della cattiva gestione dei fondi investiti dal Governo italiano». Ha mai sentito parlare di questa vicenda?

 

 

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ALI MAHDI. Ho sentito che è andata a Bosaso per questa nave che è stata sequestrata e che poi Mugne ha pagato circa seicentomila dollari per il rilascio della nave.
 

PRESIDENTE. Chi le ha detto queste cose?
 

ALI MAHDI. Voci.
 

PRESIDENTE. Chi era Beri Beri?
 

ALI MAHDI. È uno che ha vissuto per molti anni in Italia.
 

PRESIDENTE. Le risulta che fosse legato ad Al Ittihad?
 

ALI MAHDI. Non l'ho mai sentito.
 

PRESIDENTE. Il sultano di Bosaso che rapporti aveva con il mondo islamico?
 

ALI MAHDI. Non ha niente a che fare.
 

PRESIDENTE. Lei ricorda di essere stato intervistato da una giornalista, Isabel Pisano, nel 1996?
 

ALI MAHDI. Quanti giornalisti ho incontrato!
 

PRESIDENTE. Glielo chiedo perché lei in quella intervista ha fatto questa dichiarazione, che riguarda l'omicidio di Ilaria Alpi: che la giornalista «è stata seguita per quattro chilometri fino all'Hamana». Lei come ha fatto a sapere questa circostanza?
 

ALI MAHDI. Ero a Nairobi quando ho saputo dell'uccisione. Ho cercato di informarmi su come era stato. Mi hanno detto che è stata seguita da una Land Rover di colore blu dall'hotel dove stava fino all'Hamana. Questo è ciò che mi hanno detto.
 

PRESIDENTE. Chi glielo ha detto?
 

ALI MAHDI. Dei somali.
 

PRESIDENTE. Dei somali qualsiasi?
 

ALI MAHDI. Dei somali.
 

PRESIDENTE. Sono venuti da lei, erano quelli che facevano informazione per lei?
 

ALI MAHDI. No, io ho fatto il telefono dell'ufficio e dall'ufficio hanno avuto questa informazione.
 

PRESIDENTE. Lei ha fatto telefonare?
 

ALI MAHDI. Io ho telefonato a Mogadiscio.
 

PRESIDENTE. A chi ha telefonato?
 

ALI MAHDI. Ad uno dei miei collaboratori, Addow. Ho chiesto che cosa era successo e mi hanno detto che erano state uccise queste due persone di fronte all'hotel Amana. Ho chiesto se abitavano là e mi hanno detto di no, che dall'hotel Sahafi, a Mogadiscio sud erano stati seguiti da questa Land Rover di colore blu.
 

PRESIDENTE. Addow le ha detto da chi aveva saputo questa notizia?
 

ALI MAHDI. I somali parlano.
 

PRESIDENTE. Ma dicono pure quello che gli pare. Può dire se lei ha ritenuto la notizia attendibile, se l'ha ritenuta una chiacchiera oppure Addow è stato in grado di dirle che era certo che fosse così, perché lo aveva saputo da fonte precisa?
 

ALI MAHDI. Fino adesso io considero vero che è stata seguita da quella macchina che mi hanno detto.
 

PRESIDENTE. Quando ha conosciuto Gas Gas?
 

ALI MAHDI. Da tempo.
 

PRESIDENTE. Era il capo della polizia?
 

ALI MAHDI. Era colonnello, il comandante del CID.

 

 

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PRESIDENTE. Di Siad Barre?
 

ALI MAHDI. Sì.
 

PRESIDENTE. E dopo?
 

ALI MAHDI. Sta a casa.
 

PRESIDENTE. Lei lo ha conosciuto da allora?
 

ALI MAHDI. Sì, da allora.
 

PRESIDENTE. Successivamente alla caduta di Siad Barre che cosa ha fatto?
 

ALI MAHDI. Stava a casa sua.
 

PRESIDENTE. Lei continua ad avere rapporti con Gas Gas?
 

ALI MAHDI. Sì, un buon rapporto.
 

PRESIDENTE. Che cosa le ha detto Gas Gas a proposito dell'omicidio di Ilaria Alpi?
 

ALI MAHDI. Niente, perché io l'incarico l'ho dato al generale.
 

PRESIDENTE. Però c'è una cosa che non so se ricordarle o contestarle. Gas Gas è stato sentito dalla nostra Commissione sulla cooperazione il 30 gennaio 1996 e dice di aver frequentato l'accademia di Modena e di essersi laureato in statistica. Dice: «Quello di Ilaria Alpi è un fascicolo ancora aperto. Non si è infatti potuto proseguire in quanto la gente ha paura di parlare. Bisogna aspettare che a Mogadiscio ci sia un Governo per sapere la verità». Lei nel Governo non c'è entrato e quindi la verità non la possiamo sapere.
Sul rapporto della polizia somala in possesso della delegazione, secondo cui il delitto sarebbe maturato in ambiente italiano e Ilaria Alpi prima di essere uccisa sarebbe uscita dal garage di Marocchino, dichiara: «Noi non abbiamo fatto nessun rapporto. Personalmente nulla so di questo rapporto, che è stato redatto da Ali Giro, ma non gli è stato trasmesso». Conosce Ali Giro Shermarke?
 

ALI MAHDI. No, non è scritto bene.
 

PRESIDENTE. «Marocchino è quasi analfabeta. Certamente non è capace di architettare un delitto. Ali Giro Shermarke verrà tra breve a Roma e la delegazione potrà ascoltarlo. Il fatto è che Shermarke è dalla parte di Aidid, anche se viene spesso a Mogadiscio nord per parlare con i suoi vecchi colleghi».
 

ALI MAHDI. Mi pare sia morto.
 

PRESIDENTE. «La carica accusatrice nei confronti di Marocchino potrebbe facilmente essere stata una conseguenza diretta della militanza pro Aidid. Sulle affermazioni di Osman Veil hanno concordato anche Gafo e Gilao». Questo è del 30 gennaio 1996. Successivamente, intervistato da Isabel Pisano, che è quella che ha intervistato anche lei nel settembre del 1996, Gas Gas dichiara di conoscere il nome dei colpevoli: «i nomi ce li abbiamo e i complici dei somali sono italiani. Non ho prove, ma le troverò. So chi sono e li troverò». Gas Gas le ha mai detto queste cose?
 

ALI MAHDI. Se Gas Gas, che è un poliziotto competente, sa i nominativi, aspettiamo il Governo e si trovano.
 

PRESIDENTE. Quando è stata l'ultima volta che ha visto Gas Gas?
 

ALI MAHDI. Nel 2003.
 

PRESIDENTE. Ha mai avuto conoscenza di questo rapporto che fece Shermarke?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. A voi l'Unosom ha mai chiesto di svolgere un'attività di approfondimento dell'indagine sulla vicenda di Ilaria Alpi?

 

 

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ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. Però ad Aidid invece lo avrebbe chiesto. Sa che ad Aidid è stata chiesta la collaborazione sotto questo profilo?
 

ALI MAHDI. A noi nessuno ce lo ha chiesto.
 

PRESIDENTE. A voi no, ma a Shermarke, che era un uomo collegato ad Aidid, viene fatta questa richiesta di approfondimento da parte di Unosom. Lei come spiega questo fatto? Non lo sa?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. Ha mai conosciuto l'ambasciatore Cassini?
 

ALI MAHDI. Sì.
 

PRESIDENTE. Quando lo ha conosciuto e dove?
 

ALI MAHDI. L'ho conosciuto a Mogadiscio quando è venuto ad accreditarsi.
 

PRESIDENTE. Con chi è venuto?
 

ALI MAHDI. Non lo so, io conosco Cassini.
 

PRESIDENTE. A lei fu introdotto solo Cassini? Chi era presente al colloquio?
 

ALI MAHDI. C'erano alcuni con lui. C'era uno che c'era stato anche al tempo di Siad Barre, ci siamo incontrati più volte.
 

PRESIDENTE. Avete parlato della questione di Ilaria Alpi? Lei sa che Cassini aveva una sorta di incarico di cercare di capire che cosa potesse essere successo? In questa logica si è rivolto anche a lei per cercare di sapere, ma evidentemente il risultato è stato negativo, come lo è oggi per noi. Avete poi avuto modo di riparlare, di rivedervi, oppure ha visto Cassini una volta sola?
 

ALI MAHDI. No, ci siamo visti più volte.
 

PRESIDENTE. Lei sa quali sono state le attività che ha svolto Cassini, quali sono stati i risultati delle sue indagini? Ne ha parlato con lui, lo ha aiutato nello svolgimento di queste indagini?
 

ALI MAHDI. Io l'ho aiutato, l'ho fatto presentare al generale Gilao, ho dato l'ordine di collaborare con l'ambasciatore per chiarire queste cose, per trovare la ragione dell'uccisione e sono andati avanti loro due.
 

PRESIDENTE. Lei è stato mai informato sull'andamento delle indagini?
 

ALI MAHDI. Mi hanno fatto sapere la conclusione, che era impossibile trovare i nominativi di chi ha ucciso.
 

PRESIDENTE. Invece le cose sono andate diversamente, come lei sa.
 

ALI MAHDI. Come lei mi dice adesso da Gas Gas.
 

PRESIDENTE. Allora lei non sa come sono andate a finire le cose? Lei sa che c'è stato un somalo che è stato condannato qui in Italia per l'uccisione?
 

ALI MAHDI. L'ho sentito.
 

PRESIDENTE. Non sa chi ha portato questo somalo in Italia?
 

ALI MAHDI. Credo che lo abbia portato uno di cui mi avete chiesto ieri.
 

PRESIDENTE. Gelle?
 

ALI MAHDI. Non Gelle, un professore universitario.
 

PRESIDENTE. Yaie?
 

ALI MAHDI. Sì, Yaie.

 

 

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PRESIDENTE. Questo lei lo immagina oppure le è stato detto che Yaie ha indicato questa persona con riferimento all'omicidio di Ilaria Alpi?
 

ALI MAHDI. So che Yaie è venuto con alcune persone in Italia sulla vicenda delle torture e sulla morte dei due giornalisti.
 

PRESIDENTE. Anche per la morte dei due giornalisti?
 

ALI MAHDI. So che sono venuti per questo motivo.
 

PRESIDENTE. Lei non può non sapere queste cose. La prima domanda che le ho fatto era se ha conosciuto Cassini e mi ha risposto di sì. La seconda era se ha visto più volte Cassini e ha risposto di sì. Terza domanda: Cassini l'ha informata sulla conclusione delle indagini sull'uccisione di Ilaria Alpi?
 

ALI MAHDI. No, Cassini non mi ha mai detto la conclusione delle indagini che faceva. Ho saputo solo che stava per partire o doveva partire con questo ragazzo, Yaie, che poi non lavorava più per me, e venivano per questa vicenda in Italia.
 

PRESIDENTE. Quindi, lei non ha mai saputo che questo ragazzo veniva qui con riferimento all'omicidio di Ilaria Alpi?
 

ALI MAHDI. Ho sentito delle voci di corridoio.
 

PRESIDENTE. Non da Cassini?
 

ALI MAHDI. Non da Cassini.
 

PRESIDENTE. Adesso che lei è informato da me del fatto che Hashi Omar Hassan è un giovane somalo che è stato condannato con sentenza definitiva per l'uccisione di Ilaria Alpi, ricorda se questo nome le è stato fatto da Cassini o da chiunque altro come la persona che veniva fatta venire in Italia a questo scopo?
 

ALI MAHDI. No, dall'ambasciatore Cassini non ho saputo niente. La prima volta che ho sentito il nome di questo ragazzo l'ho saputo da un avvocato somalo che si trova qui in Italia.
 

PRESIDENTE. L'avvocato Duale?
 

ALI MAHDI. Sì, mi aveva telefonato e mi aveva detto che aveva bisogno di testimoni per questo ragazzo che era in arresto in Italia.
 

PRESIDENTE. Testimoni per fare che cosa?
 

ALI MAHDI. Qualcuno che può testimoniare che il ragazzo non ha partecipato all'agguato, non è colpevole.
 

PRESIDENTE. Lei lo ha aiutato?
 

ALI MAHDI. No, non conoscevo il ragazzo.
 

PRESIDENTE. Duale fa parte del suo clan?
 

ALI MAHDI. No, lui è haber ghedir.
 

PRESIDENTE. Quindi, lei non ha mai conosciuto Hashi Omar Hassan?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. Per caso la famiglia di Hashi Omar Hassan qualche volta si è rivolta a lei per chiederle aiuto?
 

ALI MAHDI. Sì, sono arrivati i genitori del ragazzo, sono venuti a chiedermi una mano. Siccome sapevano che io avevo buoni rapporti con l'Italia, mi hanno chiesto se potevo aiutarlo perché era stato arrestato ingiustamente.
 

PRESIDENTE. Quando?
 

ALI MAHDI. Appena è stato condannato.
 

PRESIDENTE. Lei che ha fatto?

 

 

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ALI MAHDI. Ho detto che non lo potevo aiutare. Se un giorno ci sarà un'autorità italiana in Somalia potrò intervenire e parlare, ma una volta che è stato condannato non posso fare niente.
 

PRESIDENTE. No, ancora è possibile. Come l'ha contattata l'avvocato Duale? Le ha telefonato dall'Italia o vi siete incontrati?
 

ALI MAHDI. Mi ha chiamato, perché di solito gli avvocati cercano di vincere la causa che difendono. Per questo lui ha tentato, mi ha cercato e cercava testimoni per questo fatto. Siccome ci conoscevamo, lui mi ha chiamato per questo motivo.
 

PRESIDENTE. Le disse quali testimoni doveva portare? Le fece i nomi e cognomi dei testimoni che servivano oppure le chiese i nomi e i cognomi?
 

ALI MAHDI. Ha chiesto se era possibile trovare o cercare persone che potessero testimoniare che questo uomo non è colpevole, non ha fatto questo agguato.
 

PRESIDENTE. Quindi, in generale. E lei ha detto invece che non era possibile. Abbiamo parlato prima di queste torture. Lei sa che poi è stata creata una lista delle persone che sono state portate a Roma per essere sentite e, tra l'altro, nella lista vi era anche Hashi Omar Hassan. Le chiedo, a conferma o a smentita: è vero che queste liste le avete fatte insieme lei e Aidid?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. Che sa di queste liste?
 

ALI MAHDI. Non so niente della lista.
 

PRESIDENTE. Ahmed Mohamed Mohamud, detto Washington, lo ha mai conosciuto?
 

ALI MAHDI. È un Abgal che lavora per la Comunità europea.
 

PRESIDENTE. Ad esempio, lui sulla individuazione di Hashi Omar Hassan come vittima delle torture ha lavorato con Cassini. Lo sapeva?
 

ALI MAHDI. No, Cassini dormiva a casa di questo signore.
 

PRESIDENTE. Ha conosciuto Mohamed Nur, detto Garibaldi, anche lui collaboratore di Washington?
 

ALI MAHDI. Sì, lo conosco.
 

PRESIDENTE. Mi pare fosse un autista.
 

ALI MAHDI. No, era un funzionario.
 

PRESIDENTE. Sa niente dei suoi collegamenti?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. Ha mai conosciuto Abdisalam Ahmed Hassan, detto Shino?
 

ALI MAHDI. No, mai sentito.
 

PRESIDENTE. Lei ricorda di una visita che lei ricevette da persone provenienti dai Servizi italiani, in particolare dal Sismi, che furono accompagnate da Duale? È una circostanza certa, cerchi di ricordarla.
 

ALI MAHDI. Era Rajola?
 

PRESIDENTE. È esatto. Duale a che titolo era presente, dato che tra l'altro era anche di un clan diverso dal suo? Che compito aveva, che ruolo aveva? È vero che fu lui a favorire l'incontro fra lei e queste autorità italiane?
 

ALI MAHDI. Sì, siccome lui vive in Italia, ha portato più volte gli italiani da me e da Aidid.
 

PRESIDENTE. Perché lo faceva? Perché conosceva gli italiani e lei e quindi faceva da tramite o a qualche altro titolo? Che lei sappia, era legato a Rajola?

 

 

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ALI MAHDI. Non lo so, però gli italiani chiedevano questo lavoro, questa intermediazione.
 

PRESIDENTE. Per italiani intende i Servizi?
 

ALI MAHDI. I Servizi, naturalmente.
 

PRESIDENTE. Cerchiamo di essere precisi. I Servizi chiedevano l'intermediazione di Duale per avere un contatto con lei?
 

ALI MAHDI. E con Aidid.
 

PRESIDENTE. Che sono venuti a fare quella volta? C'era anche il direttore del Servizio.
 

ALI MAHDI. Sono passati molti anni.
 

PRESIDENTE. Lei ha una buona memoria.
 

ALI MAHDI. Oramai sono vecchio. Non so esattamente.
 

PRESIDENTE. Ha visto Duale di recente? O è tanto che non lo vede?
 

ALI MAHDI. È qui a Roma, però non l'ho visto. Mi hanno detto che era a Parigi.
 

PRESIDENTE. Qualche giorno fa lo ha visto?
 

ALI MAHDI. Sì.
 

PRESIDENTE. Dove lo ha visto?
 

ALI MAHDI. Al mio albergo.
 

PRESIDENTE. Vi siete incontrati?
 

ALI MAHDI. Sì.
 

PRESIDENTE. È venuto a farle visita?
 

ALI MAHDI. Sì, una visita di cortesia.
 

PRESIDENTE. Come sapeva che lei stava qui?
 

ALI MAHDI. La prima sera che sono venuto a Pavia mi hanno telefonato tutti.
 

PRESIDENTE. Ma lei non è uno qualsiasi.
 

ALI MAHDI. Tutti, non solo dall'Italia, ma dalla Germania, dall'America.
 

PRESIDENTE. Lei ha detto che non parla con gli autisti. Se viene Ali Mahdi in Italia non è una persona qualsiasi.
 

ALI MAHDI. Io parlo con il mio autista.
 

PRESIDENTE. Lui è arrivato e che cosa voleva da lei? Sapeva che lei doveva essere sentito dalla Commissione?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. Parliamo un po' di Marocchino, dei suoi rapporti con Marocchino, tra l'altro anche di parentela, perché la moglie di Marocchino è una Ali Mahdi.
 

ALI MAHDI. No, la moglie di Marocchino è la figlia di una mia parente lontana.
 

PRESIDENTE. Lei che tipo di rapporti ha avuto con Marocchino? D'affari, di politica, di informazioni, amici, parenti, benefattori?
 

ALI MAHDI. Rapporti di amicizia, poiché viveva nella nostra zona.
 

PRESIDENTE. Che lavoro faceva Marocchino?
 

ALI MAHDI. Che io sappia, il trasportatore.
 

PRESIDENTE. Faceva molte altre cose. Faceva il trasportatore, lavorava con l'esercito italiano...

 

 

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ALI MAHDI. Con gli americani.
 

PRESIDENTE. Non faceva solo trasporti, faceva anche forniture.
 

ALI MAHDI. Forniture e trasporti.
 

PRESIDENTE. Sa se avesse rapporti anche con i Servizi italiani che erano a Mogadiscio? Con Rajola?
 

ALI MAHDI. Non lo so.
 

PRESIDENTE. Che rapporto c'era tra lui e Rajola, che lei sappia?
 

ALI MAHDI. Non lo so.
 

PRESIDENTE. Lei non conosceva nessuno del Sismi?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. Rajola lo conosceva?
 

ALI MAHDI. Sì, conosco Rajola.
 

PRESIDENTE. Per quella questione?
 

ALI MAHDI. Sì, per quella questione, poi è venuto più volte a Mogadiscio.
 

PRESIDENTE. Invece, i funzionari del Sismi che stavano a Mogadiscio non li ha mai conosciuti?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. Chi teneva i rapporti? Gilao?
 

ALI MAHDI. Gilao.
 

PRESIDENTE. Quindi, lei non aveva bisogno di tenere i rapporti, perché li teneva Gilao. Sua moglie, Nurta ...
 

ALI MAHDI. La mia ex moglie.
 

PRESIDENTE. Nota autografa del 21 marzo 1994: «La moglie di Ali Mahdi, Nurta, durante un incontro avvenuto presso la nuova sede di un centro, avrebbe espresso l'opinione che il duplice omicidio avrebbe matrice religiosa e farebbe parte di un più ampio piano di destabilizzazione condotto da fondamentalisti islamici che potrebbero reiterare il gesto nei confronti degli occidentali». Questa è una nota del Sismi del 21 marzo del 1994, il giorno dopo l'uccisione di Ilaria Alpi, che parte dal presupposto che il funzionario del Sismi Tedesco abbia avuto un colloquio con l'allora sua moglie. Nel 1994 era sua moglie?
 

ALI MAHDI. Sì.
 

PRESIDENTE. Sua moglie avrebbe detto questo. «Sarebbe stata seguita fin dal suo rientro da Bosaso il 17 precedente da una delle due vetture usate per l'attentato e questo particolare è stato confermato anche da alcuni colleghi della vittima che avevano parlato con Ilaria prima della sua morte. La signora Nurta ha confermato che gli attentatori erano di Mogadiscio nord aggiungendo che molti sarebbero i somali al soldo dei fondamentalisti e di Somaliland, con il compito di vanificare i tentativi di rappacificazione a Mogadiscio». Lei si è separato per questo da sua moglie?
 

ALI MAHDI. Sicuramente non per questo.
 

PRESIDENTE. Sono fantasie?
 

ALI MAHDI. Sono fantasie, glielo dico adesso. È fantasia, è falso, tutto falso.
 

PRESIDENTE. Come mai sua moglie faceva tali affermazioni?
 

ALI MAHDI. Non lo so. Io sono Ali e lei è Nurta. Però, è tutto falso; tutto falso.
 

PRESIDENTE. Sarà tutto falso, e noi prendiamo atto della sua dichiarazione; però, in precedenza, rispondendo alle mie domande, a proposito delle informative del Sisde in cui si diceva che Al Ittihad sarebbe alla base dell'uccisione dei due

 

 

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giornalisti, lei ha confermato l'esistenza di tale situazione, relativa alla presenza religiosa e all'integralismo. Dunque, sua moglie non si è inventata tutto.
 

ALI MAHDI. Che Al Ittihad sia presente a Mogadiscio è vero. Però, che abbiano commesso loro il crimine nessuno può...
 

PRESIDENTE. Mi scusi, la domanda è indiscreta ma debbo fargliela: lei aveva buoni rapporti con sua moglie, in quel periodo?
 

ALI MAHDI. Questa è una questione privata.
 

PRESIDENTE. D'accordo. Però, dietro quella dichiarazione non vi sono ragioni che vanno contro di lei. Non vanno contro di lei, anzi.
 

ALI MAHDI. No, non è contro di me. Però, come può essere certa di queste cose? Se le chiedono di provarlo, deve provarlo. Come fa a provarlo?
 

PRESIDENTE. Da chi può averlo saputo, allora? Sua moglie aveva rapporti con qualcuno dei nostri servizi, ad esempio con Tedesco o con Rajola? Che rapporto aveva con Gilao? Sua moglie si incontrava con lui?
 

ALI MAHDI. Sì, perché venivano a casa mia, ogni tanto.
 

PRESIDENTE. Sua moglie le ha mai parlato di questa questione?
 

ALI MAHDI. No, mai. È la prima volta che la sento.
 

PRESIDENTE. Lei ha conosciuto Mohamed Gal Osman?
 

ALI MAHDI. No, non lo conosco.
 

PRESIDENTE. È il rappresentante in Italia dell'USC. Lo conosce?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. Conosce Sebastiano Guerriero?
 

ALI MAHDI. Chi è? cosa fa?
 

PRESIDENTE. Conosce Agi Mohamed Hashi Egl?
 

ALI MAHDI. Mohamed Hashi? No.
 

PRESIDENTE. Li riconosce come persone che le fornivano armi?
 

ALI MAHDI. A chi?
 

PRESIDENTE. A lei.
 

ALI MAHDI. No, non ho mai avuto armi dall'estero.
 

PRESIDENTE. Le leggo una nota del Sisde del 3 settembre 1997: «Nel marzo 1993, una struttura periferica del servizio» - ovvero, di Mogadiscio - «comunicava alla direzione gli esiti di un'attività d'indagine condotta da un organo di polizia giudiziaria, con il supporto informativo del servizio, su un'organizzazione criminale internazionale operante anche in territorio nazionale, dedita a traffici illeciti, relativi tra l'altro a materiale di valore strategico ed armamenti facenti capo a Guerriero Sebastiano. Il risultato delle indagini formava oggetto, da parte del citato organo di polizia giudiziaria, di rapporto alla locale procura della Repubblica. Con tale rapporto veniva tra l'altro segnalato il nominativo di Agi Mohamed Hashi Egl, nato a Mogadiscio nel 1941, sedicente presidente del Fronte di liberazione somalo, nonché sedicente ministro degli esteri del presidente somalo Ali Mahdi».
 

ALI MAHDI. Sarebbe il mio ministro degli esteri?
 

PRESIDENTE. Qui è scritto «sedicente».

 

 

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«Ciò è emerso» - prosegue la nota - «nell'ambito di attività informativa svolta da altro centro, il quale aveva contattato elementi dell'organizzazione, al fine di ottenere la disponibilità per circa un anno di quindici persone da impiegare a tutela della sua sicurezza personale».
Non conosce questo signore?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. È vero o non è vero che lei, ad un certo punto, allontanò Mugne dalla sua cerchia?
 

ALI MAHDI. No. Mugne non l'ho mai visto e non l'ho mai incontrato, perché era un uomo di Siad Barre. Lui è andato via dalla Somalia prima di Siad Barre, con le navi.
 

PRESIDENTE. Quando lei era presidente, Mugne non ha mai collaborato col suo Governo?
 

ALI MAHDI. Non ha mai collaborato.
 

PRESIDENTE. Dunque, non è vero che lei lo ha allontanato?
 

ALI MAHDI. Non l'abbiamo mai visto!
 

PRESIDENTE. Conosce King Kong?
 

ALI MAHDI. Sì, lo conosco.
 

PRESIDENTE. Che tipo è?
 

ALI MAHDI. È uno che ha lavorato in Italia, un giurista.
 

PRESIDENTE. Un giurista?
 

ALI MAHDI. Sì. Ha lavorato in Italia.
 

PRESIDENTE. Sa dove sia, adesso?
 

ALI MAHDI. Adesso? Non lo so. Penso a Bosaso, in quelle zone.
 

PRESIDENTE. Sa che Ilaria Alpi fece un'intervista al sultano di Bosaso?
 

ALI MAHDI. No, non lo sapevo.
 

PRESIDENTE. Non sa che in quell'intervista si parlò dei traffici di armi attraverso la Shifco, società di Mugne? Non sa nemmeno questo?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. Sa quali autorità italiane hanno svolto le indagini? Ha mai sentito parlare della questura di Udine?
 

ALI MAHDI. Penso di aver sentito qualcosa dal mio avvocato, Stefano Menicacci. So che hanno scritto, non so, che io e Bogor...
 

PRESIDENTE. Che lei, Bogor, Mugne, e il fratello di Mugne (Sahid Marino) sareste stati i mandanti dell'omicidio. Che dice, al riguardo?
 

ALI MAHDI. È una menzogna! E mi dispiace dirlo, perché Bogor era un darod e non poteva stare a Mogadiscio. I darod sono tutti scappati via. Mugne è scappato prima di Siad Barre e si trovava ad Aden o non so, in quella zona lì. Osman, il terzo, che era uomo fidato di Siad Barre...
 

PRESIDENTE. Ha fatto querela?
 

ALI MAHDI. Sì, era contro di noi. E lo odiavo a morte.
 

PRESIDENTE. Lei ha fatto querela contro tali affermazioni?
 

ALI MAHDI. Sì, sto facendo querela. Sono tutte menzogne.
 

PRESIDENTE. Lei come si procurava le armi?
 

ALI MAHDI. A Mogadiscio.
 

PRESIDENTE. Da chi?
 

ALI MAHDI. Prima, nel novanta, le compravamo dall'esercito di Siad Barre.

 

 

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PRESIDENTE. E dopo?
 

ALI MAHDI. Dopo, c'era il mercato di armi.
 

PRESIDENTE. E chi portava le armi al mercato?
 

ALI MAHDI. Erano di Siad Barre; duecentomila...
 

PRESIDENTE. Ma da dove venivano le armi?
 

ALI MAHDI. Erano le armi di Siad Barre. Tutte di Siad Barre.
 

PRESIDENTE. Ha conosciuto Franco Giorgi?
 

ALI MAHDI. Franco Giorgi? Cosa faceva?
 

PRESIDENTE. Faceva il traffico di armi. Lo ha conosciuto?
 

ALI MAHDI. No, non lo conosco. Mai sentito.
 

PRESIDENTE. Ricorda di averlo incontrato nel 1997?
 

ALI MAHDI. Chi?
 

PRESIDENTE. Franco Giorgi.
 

ALI MAHDI. No, non esiste. Mai incontrato. Mai!
 

PRESIDENTE. (Mostra un documento). Le traduco una lettera (poi le dirò da chi proviene): «Dear Franco, in considerazione della nostra lunga amicizia e in vista di una certa, indiscutibile, sicura cooperazione, ti prego di accettare...».
Guardi, la legga lei, visto che conosce bene la lingua inglese.
 

ALI MAHDI. Vorrei vedere la data.
 

PRESIDENTE. No, potrà vederla dopo. Prima legga la lettera (Ali Mahdi legge il documento in originale).
Lei ha mai visto questa lettera?
 

ALI MAHDI. Devo vedere la firma e devo vedere la data.
 

PRESIDENTE. La firma è la sua.
 

ALI MAHDI. Bisogna vedere; devo vedere. Devo vedere la data.
 

PRESIDENTE. Prego.
 

ALI MAHDI. La data è il 1996. E la firma?
 

PRESIDENTE. Ecco, legga pure.
 

ALI MAHDI. «Presidente ad interim». No, non ero presidente. È falsa! È una lettera falsa, creata non so da chi. È totalmente falsa!
 

PRESIDENTE. La data è il 18 agosto 1996.
 

ALI MAHDI. Io non ero presidente.
 

PRESIDENTE. Qui c'è scritto: «Presidente ad interim».
 

ALI MAHDI. Non lo ero.
 

PRESIDENTE. Dunque, l'ufficio dà atto che, mostrata al teste una lettera in data 18 agosto 1996, indirizzata a: «Somali Republic, Office of the President» (documento 217.9, pagina 47) e chiesto se la firma corrisponda alla propria, questi esclude che lo sia e dichiara altresì che il documento è sicuramente falso.
Ieri abbiamo parlato dei traffici di rifiuti tossici o radioattivi. Saprà che molte volte è stato detto che la Somalia era un punto di arrivo per questo tipo di rifiuti e che, addirittura, in una certa località - mi riferisco alla strada Garoe-Bosaso - sarebbero

 

 

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stati interrati, prima che la strada fosse costruita, alcuni fusti contenenti rifiuti tossici o radioattivi.
Insomma, le notizie al riguardo sono molteplici e qualche volta, come vedremo, lei è chiamato in causa...
 

ALI MAHDI. Mi chiamano in causa, sì.
 

PRESIDENTE. ... con riferimento ad autorizzazioni che lei avrebbe concesso per lo svolgimento di tali attività illecite.
 

ALI MAHDI. Infatti.
 

PRESIDENTE. Lei nega tutto?
 

ALI MAHDI. Non voglio parlare della strada tra Garoe e Bosaso, perché ciò è riferito ai tempi di Siad Barre; però, sono certo, i somali sanno tutto. I somali hanno fiuto e lo avrebbero visto, se si fosse messo questo materiale sotto le strade, nel paese; non si trova neanche un somalo che parli di questa cosa, mai.
Mi accusano di aver preso soldi per i rifiuti che venivano scaricati nei mari internazionali: che bisogno c'era di un'autorizzazione? Sono mari internazionali! Non possiamo controllare neanche cinquanta chilometri di costa; non abbiamo navi, non abbiamo niente per controllare! Perciò credo che tutto questo sia falso, sia una montatura.
 

PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di Luciano Spada?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. Di Nicholas Bizzio?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. Di Enzo Sacchetto?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. E di Guido Garelli?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare del Progetto Urano?
 

ALI MAHDI. Mai.
 

PRESIDENTE. Nemmeno come gioco, come fosse un sudoku?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. Le risulta che Giancarlo Marocchino sia stato in contatto con le persone che le ho indicato, in particolare con Garelli?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. Ha mai sentito nominare Garelli?
 

ALI MAHDI. Io? No, non l'ho sentito.
 

PRESIDENTE. Lei ha mai rilasciato autorizzazioni per lo smaltimento di rifiuti?
 

ALI MAHDI. Nossignore.
 

PRESIDENTE. Mai?
 

ALI MAHDI. Come posso farlo, al mio paese?
 

PRESIDENTE. Allora (Mostra un documento), questo è falso. Glielo leggo: «Vista la necessità di istituire la creazione di un impianto di stoccaggio per la trasformazione dei rifiuti, visti i rapporti di fiducia e di stima che nutriamo verso il cittadino italiano professor Ezio Scaglione, già console onorario della Repubblica somala, si decreta quanto segue: io, Ali Mahdi, Presidente ad interim della Repubblica somala, con il presente decreto presidenziale emesso in Mogadiscio oggi, 19 agosto 1996, viste le normative attualmente in vigore sul territorio della Repubblica somala, autorizzo la creazione di un impianto di stoccaggio per la trasformazione di rifiuti, che verrà ubicato in idonea località, atto a riceverlo in ossequio ai principi di sicurezza idrogeologica ed ambientale, concedendo

 

 

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nel contempo la più totale ed ampia autorizzazione allo sbarco, al transito e al definitivo deposito di dette sostanze sul territorio della Repubblica somala e pertanto autorizzo il professor Ezio Scaglione a realizzare il menzionato programma. Firmato: il Presidente ad interim della Repubblica somala, sua eccellenza Ali Mahdi Mohamed».
 

ALI MAHDI. È del 1996?
 

PRESIDENTE. Del 1996, il 19 agosto.
 

ALI MAHDI. È falso.
 

PRESIDENTE. La firma è la sua oppure no?
 

ALI MAHDI. È falso!
 

PRESIDENTE. Ma - le chiedo - la firma è sua?
 

ALI MAHDI. L'hanno imitata.
 

PRESIDENTE. Quindi, questa firma è falsa.
 

ALI MAHDI. Falsa!
 

PRESIDENTE. E il timbro?
 

ALI MAHDI. È falso! Chiunque può trovare questo timbro.
 

PRESIDENTE. Dove?
 

ALI MAHDI. Se vai in Somalia, lo trovi.
 

PRESIDENTE. Qui, però, è intestato: «Somali Republic»...
 

ALI MAHDI. Vuol dire: «Repubblica somala».
 

PRESIDENTE. Sì, poi c'è scritto qualcosa in più: «Office of the President».
 

ALI MAHDI. È falso, io non ero presidente, nel 1996. È falso.
 

PRESIDENTE. Conosce il notaio, il dottor Nur Ali Gal?
 

ALI MAHDI. Ali Gal lo conosco.
 

PRESIDENTE. Ebbene, questo notaio certifica che la firma è la sua.
 

ALI MAHDI. No, non può farlo.
 

PRESIDENTE. «Mogadiscio, 19 agosto 1996»...
 

ALI MAHDI. È tutto falso. Sicuramente, se lo chiede al professor Ali Gal, le dice che questo è falso.
 

PRESIDENTE. «Dichiariamo che il dottor Abdullahi Ahmed Afrà, speciale consigliere del Presidente provvisorio della Somalia e ministro plenipotenziario, è autorizzato a trattare la negoziazione e la sottoscrizione degli accordi riguardanti gli argomenti economici e finanziari, sociali e politici da parte del Governo provvisorio della Somalia. Tutti gli accordi sottoscritti dal dottor Afrà sono soggetti alla ratifica da parte del Governo oppure da parte del Presidente provvisorio».
Questo documento è vero?
 

ALI MAHDI. Non è vero.
 

PRESIDENTE. È un documento del 1994, però.
 

ALI MAHDI. Non è vero.
 

PRESIDENTE. Nel 1994, lei era presidente.
 

ALI MAHDI. Lui non è mai stato parte del Governo; non ha mai fatto parte del Governo.
 

PRESIDENTE. Lo conosce?
 

ALI MAHDI. Lo conosco, sì, ma non ha mai fatto parte del Governo.
 

PRESIDENTE. Nel 1994 lei era presidente provvisorio?

 

 

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ALI MAHDI. No. Nel 1994 non lo ero.
 

PRESIDENTE. Dunque, anche questo documento è falso?
 

ALI MAHDI. È falso.
 

PRESIDENTE. Conosce o ha mai sentito parlare dell'ingegner Comerio?
 

ALI MAHDI. No, mai sentito.
 

PRESIDENTE. Si chiama Giorgio Comerio. Lo conosce?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. Ha mai saputo di un progetto di smaltimento, attraverso il posizionamento di siluri contenenti rifiuti tossici, nei fondali marini della Somalia?
 

ALI MAHDI. No (Ride), queste cose le ho sapute soltanto dal mio avvocato!
 

PRESIDENTE. Ha conosciuto Mirco Martini?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. Ha conosciuto Francesco Fonti?
 

ALI MAHDI. Francesco Fonti? Non era un sottogretario del FAI?
 

PRESIDENTE. No, quello è Forte.
 

ALI MAHDI. Allora non lo conosco. Se non è quello del FAI, non lo conosco.
 

PRESIDENTE. La parola all'onorevole Schmidt, che ringrazio per essere intervenuto, sebbene sia un suo preciso dovere. Tuttavia, c'è chi il dovere ce l'ha ma non ottempera ad esso.
 

GIULIO SCHMIDT. La ringrazio, presidente.
Presidente Ali Mahdi, come aveva impostato la sua organizzazione a livello burocratico e militare, durante la sua presidenza? Quali erano i corpi al suo servizio?
 

ALI MAHDI. Dopo la mia nomina a presidente ad interim della Somalia, a Gibuti, avevo in mente di fare un Governo e istituzioni che funzionassero per tutto il paese. Purtroppo, ciò non è stato facile e il mio potere era limitato al nord di Mogadiscio.
 

GIULIO SCHMIDT. Come riusciva a controllare la zona di Mogadiscio nord?
 

ALI MAHDI. Purtroppo, ci sono stati scontri tra i clan. Non era facile. Noi e il mio clan ci siamo organizzati; c'erano persone che erano a capo dei sottoclan e ci organizzavamo e cercavamo di risolvere i problemi o di organizzarci, secondo il clan.
 

GIULIO SCHMIDT. Come riceveva le informazioni dal territorio?
 

ALI MAHDI. C'erano circa dieci persone che si occupavano dell'informazione. Lavoravamo giorno per giorno, alla giornata, per affrontare i problemi. I problemi venivano affrontati insieme ai capi dei sottoclan, agli anziani, ai saggi, coi quali ci riunivamo per cercare di risolvere i problemi che accadevano giorno per giorno.
 

GIULIO SCHMIDT. È mai stata fatta una riunione, con questo tipo di organizzazione, sull'uccisione di Ilaria Alpi?
 

ALI MAHDI. Sì, l'abbiamo fatta. E abbiamo dato l'incarico di prendere queste informazioni ad un generale. Purtroppo, non è riuscito ad avere esiti positivi per le informazioni riguardo a questo problema.
 

GIULIO SCHMIDT. Per quale motivo il generale incaricato di raccogliere informazioni non è riuscito ad avere informazioni utili? È la prima volta, credo, che il capo di un servizio di informazioni non riesce,

 

 

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soprattutto in Somalia, a raccogliere informazioni. Lei stesso ha dichiarato che in Somalia si conosce tutto.
 

ALI MAHDI. Signor onorevole, è giusto. Un incaricato della polizia dovrà trovare quel che gli è stato assegnato. Però, quando? Quando l'organizzazione lavora, quando c'è un direttore che riesce a mandare i suoi uomini in qualsiasi posto, a Mogadiscio, nelle altre regioni o negli altri distretti, per trovare le risposte. Però, non esistendo una polizia, non esistendo nessuna organizzazione, era così difficile trovare un'informazione; era quasi impossibile trovarla. Anche un colonnello, che ha fatto le dichiarazioni, ha detto che il fascicolo è aperto, siamo riusciti ad avere un po' di idee ma non si può parlare, adesso.
 

GIULIO SCHMIDT. Come spiega il fatto che moltissime persone sono riuscite ad avere informazioni dal territorio somalo, mentre lei, che è stato presidente di Mogadiscio nord, ovvero di una parte della Somalia, non riesce ad averle?
 

ALI MAHDI. Bisogna vedere che informazioni danno: se danno un'informazione per interesse o se è un'informazione sicura.
 

GIULIO SCHMIDT. Secondo lei, non era interesse di qualche somalo dare al suo presidente informazioni utili per poter avere un buon rapporto con il Governo italiano?
 

ALI MAHDI. Sono sicurissimo che la gente perbene, se avesse saputo qualcosa su questa faccenda, mi avrebbe dato le informazioni; però nessuno, disgraziatamente, ha saputo qualcosa, nessuno.
 

PRESIDENTE. Un mistero! È un mistero, davvero.
 

GIULIO SCHMIDT. Secondo lei, come può il presidente di un paese non essere informato di cose importanti che in esso accadono? Può esistere un presidente che non sia informato di ciò che accade nel proprio paese, come lei dice di essere?
 

ALI MAHDI. Bisogna vedere quale è il presidente.
 

GIULIO SCHMIDT. Mi riferisco a lei.
 

ALI MAHDI. Capisco che si riferisce a me. ma quello che portavo era un nominativo soltanto; non avevo tutte le possibilità, tutte le organizzazioni che avrebbero collaborato con me, che mi avrebbero dato le informazioni. Non le avevo! Dovevo istituirle ma non mi hanno dato il tempo di istituirle, perché è scoppiata la guerra. Il mio essere presidente era un nome soltanto. Era un nome, non era effettivo.
 

GIULIO SCHMIDT. Dal 1994 ad oggi sono passati più di dieci anni. È mai possibile che in dieci anni un uomo che è stato presidente della Somalia non abbia mai, dico mai, incontrato qualcuno che abbia fatto un'ipotesi, che abbia dato un nome o un riferimento, che gli abbia parlato di questa vicenda, ovvero del mistero dell'uccisione di Ilaria Alpi?
 

ALI MAHDI. L'unica cosa che potevo fare era mandare dei professionisti a fare le indagini e scoprire chi sia stato l'autore dell'uccisione dei due giornalisti. Però, come ho detto precedentemente, non hanno scoperto niente. L'unica cosa che mi hanno detto è: si troverà, però quando ci sarà un Governo efficiente che lavori per il paese.
 

PRESIDENTE. Ma questo, mi scusi, è quasi un ricatto! Vuol dire che qualcuno sa la verità, ma non la dirà prima che ci sia un Governo: mi sembra una cosa alquanto strana!
 

ALI MAHDI. Signor presidente, non è un ricatto.
 

PRESIDENTE. E che cos'è, allora? Se si fosse detto «abbiamo fatto l'indagine, abbiamo fatto di tutto ma non ci siamo

 

 

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riusciti», come capita in Italia, dove l'80 per cento degli omicidi rimangono impuniti, questa avrebbe potuto essere una motivazione. Ma dire «quando sarà stato fatto il Governo somalo, avremo la possibilità di dirvi chi ha ucciso Ilaria Alpi e Miran Hrovatin», mi sembra equivalente a dire «lo sappiamo ma non ve lo diciamo».
 

ALI MAHDI. No, non è così.
 

PRESIDENTE. Posso farle una domanda provocatoria?
 

ALI MAHDI. Sì.
 

PRESIDENTE. Che importanza era data ad episodi come quello del quale ci stiamo interessando? Volgarizzo la domanda: si moriva in continuazione, tutti i giorni, a Mogadiscio, per cui un morto in più o in meno non faceva differenza, oppure non è così?
 

ALI MAHDI. Non è così. È vero che morivano tanti somali a Mogadiscio, però per noi la morte di uno straniero era un fatto diverso, perché sporcava la mia, la nostra reputazione.
 

PRESIDENTE. E perché si uccide uno straniero? Perché si uccide un italiano? Perché si uccide - o si uccideva, allora - un occidentale, in Somalia?
 

ALI MAHDI. Signor presidente, sono stati uccisi degli americani, degli egiziani...
 

PRESIDENTE. E per quale motivo?
 

ALI MAHDI. È un fatto di banditismo, e basta. Non è un fatto contro l'Italia o contro questo Stato, ma è un fatto di banditismo e basta.
 

PRESIDENTE. Do di nuovo la parola all'onorevole Schmidt.
 

GIULIO SCHMIDT. La ringrazio.
Presidente Ali Mahdi, lei ha affermato che i documenti che le abbiamo mostrato sono dei falsi. Non le abbiamo detto che tra i protagonisti che hanno procurato questi documenti, oltre al signor Scaglione, vi è anche Giancarlo Marocchino. Lei ci sta dicendo, quindi, che Giancarlo Marocchino è stato artefice di una truffa nei confronti del sistema imprenditoriale italiano, o di alcuni imprenditori italiani, a suo danno? È possibile?
 

ALI MAHDI. Rispetto a queste lettere (che ho detto ora che sono false), se Marocchino ha detto questo, io dico che Marocchino è un bugiardo.
 

GIULIO SCHMIDT. Marocchino non ha detto nulla di questo. Noi sappiamo che il signor Scaglione ha fatto una società col signor Marocchino, che aveva la finalità - sulla base della sua autorizzazione - di avviare una discarica o un impianto di smaltimento rifiuti.
 

ALI MAHDI. No, non è vero. Non ho mai saputo una cosa del genere. Non è mai successo.
 

GIULIO SCHMIDT. Presidente, la nostra Commissione, ovviamente, presta fede e rispetta le risposte che vengono date; le chiedo, però, uno sforzo. È disposto ad ammettere una perizia calligrafica di questi documenti? Se sono falsi, lei non avrà nessun problema.
 

ALI MAHDI. Come?
 

PRESIDENTE. Presidente Ali Mahdi, l'onorevole Schmidt le sta chiedendo di rilasciarci una sua firma, in modo che possiamo fare una comparazione fra quella e i documenti.
 

ALI MAHDI. E la data?
 

PRESIDENTE. Sì, c'è anche la questione della data, comunque le chiediamo di rilasciarci la sua firma.
 

ALI MAHDI. Va bene, gliela lascio.
 

GIULIO SCHMIDT. La ringrazio molto.

 

 

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Vorrei farle un'altra domanda. Come spiega - penso che lo sappia, essendo stato presidente - tutto questo attivismo che sembrerebbe quasi non aver dato alcun risultato, intorno al tema dei rifiuti tossici e intorno al traffico di armi? Secondo lei, per quale motivo la Somalia è nota in tutto il mondo, soprattutto in Italia, per il traffico d'armi e il traffico di rifiuti?
Lei ha detto che il traffico d'armi non c'è, che di rifiuti non ce ne sono e che quindi sarebbe semplicissimo smontare tutte queste teorie.
Quale logica c'è sotto un ragionamento di questo genere? Da una parte, la Somalia è il fronte del traffico d'armi e della delinquenza organizzata, nonché il luogo di smistamento non solo dall'Italia ma dall'Europa di rifiuti tossici nocivi e radioattivi. Ne parlano tutti i giornali; si parla delle fonti, a volte attendibili, a volte meno; ci sono organizzazioni che hanno promosso attività di questo genere e lei dice che tutto questo non esiste. Per quale motivo?
 

ALI MAHDI. È semplicissimo. Per quello che non esiste, dico «non esiste»; per quello che non c'è, dico «non c'è». Io ho saputo queste cose dal mio avvocato - l'avvocato Menicacci - le ho lette sul settimanale l'Espresso e ho fatto tre querele. Andremo a finire davanti alla corte e loro devono provare tutte le chiacchiere che hanno scritto sul giornale. Devono chiarire.
 

GIULIO SCHMIDT. Ma un conto è dire che lei era implicato, un conto è dire che il fenomeno non esiste. Il fenomeno potrebbe esistere ma lei non esservi assolutamente implicato.
Lei ha dichiarato che qualsiasi somalo potrebbe riferire, qualora l'avesse visto, di un interramento o di un sotterramento, quindi sarebbe facilissimo trovare la verità.
Mi pongo una domanda. Continuano a passare gli anni e si continua a parlare del problema dei rifiuti tossici. Lei, come esponente di spicco di un paese come la Somalia, alla domanda precisa se esistano dei depositi di rifiuti tossico-nocivi in Somalia, se vi sia stato qualche tentativo di far arrivare tali rifiuti, se sia possibile che la Somalia, in cambio di armi, abbia concesso spazi per il deposito di rifiuti, risponde «non esiste». Per quale motivo?
 

ALI MAHDI. Signor onorevole, confermo - secondo il mio giudizio - che non esiste nessuno scarico di questi rifiuti tossici. Confermo. Se qualcuno...
 

GIULIO SCHMIDT. Se esistesse, lei lo saprebbe?
 

ALI MAHDI. Sono sicuro che l'avrei saputo. Se qualcuno, se un italiano lo abbia visto - io garantisco la sua vita -, ci porti lì e ci faccia vedere dove sono stati sepolti questi materiali tossici.
Non si trova neanche un somalo che parli di questa cosa, non si trova neanche un somalo che dica «ho visto che dei rifiuti tossici venivano seppelliti in quel luogo». Non si trova. Come mai? Un popolo di dieci milioni non ha mai visto lo scarico: è possibile?
 

GIULIO SCHMIDT. È stato molto chiaro. Con quali risorse lei pagava le armi al mercato?
 

ALI MAHDI. Le nostre risorse.
 

GIULIO SCHMIDT. Quali risorse economiche aveva il suo clan?
 

ALI MAHDI. Onorevole, se va a vedere il mio passato, io ero un imprenditore abbastanza ricco che poteva permettersi di fare certe cose. Avevo un grande albergo di lusso che mi permetteva di guadagnare trecentomila dollari al mese, un magazzino in cui c'erano dentro più di sedici milioni di dollari, oltre all'import-export che avevo e ad un'azienda agricola, che ho ancora adesso. Avevo la possibilità di comperare certe cose.
 

GIULIO SCHMIDT. Quindi, ha finanziato personalmente.

 

 

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ALI MAHDI. Non solo io, ma tutta la comunità Abgal.
 

GIULIO SCHMIDT. Quindi, ha utilizzato risorse proprie?
 

ALI MAHDI. Sì.
 

GIULIO SCHMIDT. Pertanto, chi ha affermato che venivano concessi spazi per rifiuti tossici in cambio di armi ha mentito?
 

ALI MAHDI. Ha mentito, non esiste. E nessuno lo troverà.
 

GIULIO SCHMIDT. Quali persone importanti ha conosciuto o conosce, anche dei vari Governi italiani, e quindi politici? Quali sono i suoi rapporti con il mondo che conta in Italia dal 1990 ad oggi?
 

ALI MAHDI. Ho sempre avuto un rapporto di amicizia con il popolo italiano. Non ho avuto un rapporto di amicizia né di supporto, se intende dire questo, dal Governo italiano o da nessuno Stato, fino ad oggi.
 

PRESIDENTE. Però quando c'era Siad Barre i rapporti ce li aveva con il Governo italiano. Craxi lo ha conosciuto?
 

ALI MAHDI. No, avevamo un rapporto diplomatico con l'ambasciatore d'Italia in quell'epoca e con quello egiziano ...
 

PRESIDENTE. È questa la domanda.
 

ALI MAHDI. ... per mandare via Siad Barre, per mandare via la dittatura dalla Somalia, per riportare la democrazia in Somalia.
 

GIULIO SCHMIDT. Chi delle persone che contano l'ha aiutata in questa operazione?
 

PRESIDENTE. Anche in Italia.
 

ALI MAHDI. Ci sono tanti Stati ...
 

GIULIO SCHMIDT. Gli altri Stati non mi interessano, mi interessa l'Italia.
 

ALI MAHDI. L'Italia ha cercato di fare una mediazione fra gli oppositori e il Governo di Siad Barre al Cairo. C'erano l'Italia e l'Etiopia.
 

GIULIO SCHMIDT. «L'Italia» è generico. Chi?
 

ALI MAHDI. Il Governo italiano.
 

GIULIO SCHMIDT. In quale persona?
 

ALI MAHDI. L'ambasciatore che c'era in quell'epoca.
 

PRESIDENTE. Scialoja?
 

ALI MAHDI. No, Scialoja non era ambasciatore. C'era l'ambasciatore Sica che ha trattato.
 

PRESIDENTE. Come politici?
 

ALI MAHDI. No, noi vedevamo solo l'ambasciatore Sica.
 

GIULIO SCHMIDT. Quali politici sono venuti in Somalia e quali ha incontrato?
 

ALI MAHDI. Incontravamo solo l'ambasciatore.
 

GIULIO SCHMIDT. Non ha mai incontrato nessun esponente politico italiano?
 

ALI MAHDI. No.
 

GIULIO SCHMIDT. Lei ha mai incontrato qualche segretario di esponente politico italiano? Ha mai incontrato qualche imprenditore italiano che si è presentato con le credenziali di un politico italiano?
 

ALI MAHDI. No.
 

GIULIO SCHMIDT. Grazie, presidente.
 

PRESIDENTE. Noi abbiamo accertato che tra le armi che circolavano in Somalia

 

 

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ce n'erano anche di nuove. Una parte erano nuove, anche quelle di Siad Barre, però ci sono state armi nuove, dal punto di vista tecnologico, armi aggiornate agli anni successivi, 1994- 1995, e soprattutto il munizionamento, perché le armi non servono a niente se non ci sono le munizioni. Queste cose non potevano venire ovviamente da Siad Barre, prima di tutto il munizionamento, in secondo luogo le armi di nuova generazione. Chi ve le dava? Da chi le compravate?
 

ALI MAHDI. Signor presidente, come le avevo già detto, noi compravamo le armi di Siad Barre, non compravamo quelle già aperte, ma quelle nuove con le casse.
 

PRESIDENTE. Però Siad Barre cade nel 1991, poi nel 1995-1996 le armi continuano a circolare in Somalia e tra queste armi ce ne erano alcune di generazione successiva al 1991, per cui queste armi venivano da qualche altra parte. Da dove venivano?
 

ALI MAHDI. Prima di tutto, io posso dire che il 98 per cento delle armi che si vendevano in Somalia erano quelle di Siad Barre. Non escludo che qualcosa arrivava dall'Etiopia e dallo Yemen.
 

PRESIDENTE. L'esercito italiano vi ha dato armi?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. È sicuro di questo?
 

ALI MAHDI. Sì.
 

PRESIDENTE. Quando è andato via il contingente le risulta che siano state lasciate in dotazione armi a qualcuno?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. A lei?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. Non le risulta?
 

ALI MAHDI. Non mi risulta.
 

PRESIDENTE. È sicuro?
 

ALI MAHDI. Sicuro.
 

PRESIDENTE. Lei era in buoni rapporti con il generale Fiore?
 

ALI MAHDI. Sì.
 

PRESIDENTE. Che rapporto aveva con Fiore?
 

ALI MAHDI. Rapporti di collaborazione.
 

PRESIDENTE. Che collaborazione? Fiore era un comandante dell'esercito.
 

ALI MAHDI. Di facilitare qualsiasi lavoro che volevano compiere a nord di Mogadiscio.
 

PRESIDENTE. In cambio di che cosa?
 

ALI MAHDI. Niente.
 

PRESIDENTE. Su questo punto forse possiamo fare qualche puntualizzazione, perché invece a noi risulta che in dirittura di partenza del contingente italiano qualche traffico di armi sia stato fatto e a noi risulta che sia stato fatto proprio con lei. Lei smentisce questa circostanza?
 

ALI MAHDI. Io smentisco categoricamente.
 

PRESIDENTE. Chi altro conosceva dell'esercito italiano? Abbiamo detto che con Loi non aveva alcun rapporto. Chi altro conosceva oltre a Fiore?
 

ALI MAHDI. Nessun altro.
 

PRESIDENTE. Conosceva solo Fiore, era un rapporto al vertice. Vi frequentavate spesso?

 

 

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ALI MAHDI. No, ogni tanto, quando aveva bisogno di incontrarmi, domandava e veniva da me.
 

PRESIDENTE. Quali erano le richieste che faceva Fiore?
 

ALI MAHDI. Mandava i suoi uomini per fissare l'appuntamento.
 

PRESIDENTE. Per parlare di che cosa?
 

ALI MAHDI. Non la stessa cosa, ogni giorno avrà avuto un problema.
 

PRESIDENTE. Quali problemi le rappresentava? Perché chiamava in causa lei, chiedeva la sua collaborazione?
 

ALI MAHDI. Nella nostra parte c'erano gli italiani e i pakistani. Può darsi che delle volte sentivano insicurezza. Lui veniva e diceva di aver sentito delle cose ed io dicevo: non c'è o c'è.
 

PRESIDENTE. Fiore, che era il capo del contingente italiano, quando aveva dei problemi - mi lasci usare un formula forse non proprio precisa - di sicurezza per il contingente italiano o per italiani, si riferiva a lei, perché lei era quello che aveva le notizie ed aveva il controllo del territorio. Quindi, le chiedeva aiuto nel controllo del territorio. Questo però è in contraddizione con il profilo basso che lei si è dato rispetto ai problemi che ci siamo posti, perché prima abbiamo parlato, sempre con riferimento al 1994, della questione dell'ordine pubblico, della questione dei sabotaggi, dei saccheggi e delle aggressioni, ed alla mia domanda se lei fosse o meno in grado di controllare in qualche modo la situazione lei mi ha risposto dicendo che era una situazione assolutamente incontrollabile. Invece, Fiore viene da lei e chiede notizie e vuole che le dia una mano a controllare. Mi spieghi questa contraddizione.
 

ALI MAHDI. Non è una contraddizione, io non la vedo come una contraddizione.
 

PRESIDENTE. Io la pongo come contraddizione, poi lei me la scioglie.
 

ALI MAHDI. Quello che ho detto è che non c'era nessuna organizzazione che poteva garantire la sicurezza al cento per cento in quella zona, perché il controllo era già fuori mano, però il generale Fiore non sapeva che noi non avevamo un potere per controllare una cosa del genere e lui veniva.
 

PRESIDENTE. Lui pensava che lei fosse forte.
 

ALI MAHDI. Noi facevamo quello che potevamo fare.
 

PRESIDENTE. Ho capito bene il suo pensiero più che le sue parole. Nel giugno del 1993 lei era presidente ad interim? Non lo ricorda?
 

ALI MAHDI. No. Appena l'Unosom è venuta abbiamo dato le dimissioni.
 

PRESIDENTE. «Questa Presidenza la prega gentilmente di presentare la seguente richiesta ufficiale nello Stato somalo alle autorità competenti del Ministero degli affari esteri italiano per ottenere il benestare per consegnare alla società italiana SEC ...». Sa che cos'è la SEC?
 

ALI MAHDI. No.
 

PRESIDENTE. «Società esercizio cantieri, con sede a Viareggio, via dei Pescatori, 56, la gestione tecnica ed amministrativa della flotta di pesca oceanica e di trasporto frigorifero, proprietà dello Stato somalo. Il motivo di questa richiesta è fondato nella ottima esperienza avuta con questa società» - mancavo di dirle che la firma è la sua: Ali Mahdi Mohamed - «le due volte che fu da noi interpellata e che gestì perfettamente durante il periodo da noi contrattato il funzionamento e la manutenzione di tutte le nostre sei navi. Oggi, vista la difficile situazione che si attraversa in Somalia, questa Presidenza non può

 

 

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permettere che la sua flotta sia gestita da mediatori, commercianti di pesce e incompetenti nel campo tecnico, che speculano in proprio beneficio data la mancanza di controllo da parte dello Stato somalo. Questa lettera squalifica ufficialmente e revoca il potere di gestione consegnato da questo Governo al signor Mugne Said Omar e nomina a tutti gli effetti di rappresentanza per la gestione della menzionata flotta, davanti alle autorità italiane ed internazionali, il signor capitano di lungo corso Mohamed Hussein Moge. Per tali motivi la preghiamo vivamente» - la lettera è rivolta all'ambasciatore d'Italia in Somalia - «di trasmettere questa nostra volontà ed intenzione con massima celerità a chi di dovere presso il Ministero degli affari esteri e alla direzione della Società esercizio cantieri di Viareggio, Italia. Ringraziandola in modo particolare nel nome di tutto il popolo somalo, le invio i miei più cordiali ...».
 

ALI MAHDI. Questa è giusta.
 

PRESIDENTE. Quindi, è vero che lei ha revocato Mugne?
 

ALI MAHDI. Sì, l'ho revocato.
 

PRESIDENTE. Ma prima ha detto che non lo conosceva.
 

ALI MAHDI. No. Lei mi ha chiesto se avevo avuto a che fare ed io le ho detto che lui è scappato dalla patria prima della caduta di Siad Barre.
 

PRESIDENTE. Noi abbiamo una lettera dello stesso giorno di Agi Yusuf, che è quello che abbiamo indicato prima: «Oggi, 30 giugno, riunito il Consiglio dei ministri sotto la Presidenza di sua eccellenza il Capo dello Stato somalo, Ali Mahdi Mohamed, si è deciso quanto segue. Richiesta ufficiale della Presidenza della Somalia attraverso la rappresentanza diplomatica italiana a Mogadiscio e del ministro degli affari esteri. Squalifica e revoca dei poteri a procura consegnata al signor ingegnere Mugne Said Omar per la gestione della flotta e per la volontà di questo Governo. Nomina ufficiale del signor capitano Mohamed Hussein Moge come unico rappresentante del Governo somalo e addetto alla direzione e alla gestione della flotta. Gli accordi contrattuali e le norme di gestione saranno concordati e firmati a Cipro fra le due parti sulla stessa base e come nelle due società precedenti. In nome di tutto il popolo somalo e fiduciosi come sempre della sua disponibilità e collaborazione, questa Presidenza la ringrazia e le invia i suoi più distinti saluti e la sua più alta considerazione».
Prima le ho chiesto se lei aveva mai avuto intorno a sé, nella sua cerchia, Omar Mugne e se lo aveva mai allontanato. Lei ha risposto di non averlo mai allontanato. Se vuole, prendiamo il resoconto e troverà scritto quello che le sto ricordando. Invece, questo è un documento ...
 

ALI MAHDI. È un mio documento.
 

PRESIDENTE. È un suo documento che dà conto di una cosa, almeno all'apparenza, diversa da ciò che lei ha dichiarato prima, magari dimenticando. Ci spieghi bene tutto. Siccome prima mi ha dato una risposta certa, che Mugne non apparteneva alla sua cerchia e che lei non aveva mai avuto motivo di allontanarlo, lei mi deve spiegare perché ha dato questa risposta e perché invece qui c'è scritto il contrario, se riguarda la stessa cosa.
 

ALI MAHDI. Lei mi ha chiesto se lo avevo allontanato dalla mia cerchia. No, perché non lo conoscevo. Siccome Mugne è scappato, è andato via con le navi somale prima della caduta di Siad Barre, prima avevo risposto che non faceva parte della mia cerchia. Poi abbiamo cercato in qualsiasi modo di raggiungere Mugne e revocare questo incarico che lui già aveva ed è andato via con le navi somale. Abbiamo cercato in qualsiasi modo e non è stato possibile. Allora ho scritto questa lettera al Governo italiano per revocare Mugne dall'incarico che lui già aveva e sostituirlo con questa persona, il capitano Moge.

 

 

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PRESIDENTE. Lei quando ha visto Mugne per la prima volta e per l'ultima volta?
 

ALI MAHDI. Non l'ho mai visto. Lo conosco di nome e lo conosco come persona, l'incarico lo ha dato Siad Barre. È scappato prima del 1991 dalla Somalia. Abbiamo cercato di far ritornare le navi, ha rifiutato e noi abbiamo preso questo.
 

PRESIDENTE. Diamo atto che, chiesto di un saggio calligrafico per la comparazione con le firme qui disconosciute, il teste dichiara la sua disponibilità e rilascia su un foglio, che si acquisisce agli atti, tre prototipi di firma.
Prego, onorevole Schmidt.
 

GIULIO SCHMIDT. Presidente, credo che questa lettera sia stata preparata e scritta da una persona che conosce perfettamente lo stile italiano. Chi gliel'ha preparata e chi gliel'ha fatta firmare?
 

ALI MAHDI. La mia gente che collaborava.
 

GIULIO SCHMIDT. Quali collaboratori italiani aveva?
 

ALI MAHDI. Non italiani, somali. Il ministro della presidenza Awes Hagi Yusuf, che preparava tutti i documenti.
 

GIULIO SCHMIDT. Sapeva così bene l'italiano?
 

ALI MAHDI. Sì.
 

GIULIO SCHMIDT. Perfettamente?
 

ALI MAHDI. Parlava l'italiano così, parlava l'inglese come l'italiano, parlava l'arabo come un arabo.
 

GIULIO SCHMIDT. Lei in questa lettera praticamente accusa Mugne di fare i propri interessi personali e, quindi, inquadra Mugne come un affarista e uno speculatore, più o meno: comunque, si serve di questa concessione per fare gli interessi propri e non della Somalia. Giusto?
 

ALI MAHDI. Sì.
 

GIULIO SCHMIDT. In che cosa Mugne ha mancato nei confronti della Somalia? Di che cosa era colpevole, secondo lei?
 

ALI MAHDI. È colpevole perché le navi erano per il popolo somalo e lui si è preso le navi ed è andato a finire ad Aden, a San'a, e lì faceva come gli piaceva fare, fino adesso.
 

GIULIO SCHMIDT. Dove scaricava il pesce Mugne?
 

ALI MAHDI. In Italia.
 

GIULIO SCHMIDT. E poi quando tornava in Somalia?
 

ALI MAHDI. Non è mai tornato in Somalia.
 

GIULIO SCHMIDT. Le navi?
 

ALI MAHDI. Le navi mai.
 

GIULIO SCHMIDT. Ma cosa sta dicendo?
 

ALI MAHDI. Mai, non sono tornate mai in Somalia. Pescavano magari nell'oceano Indiano.
 

PRESIDENTE. E la XXI Ottobre che era stata sequestrata a Bosaso?
 

GIULIO SCHMIDT. Di chi era?
 

ALI MAHDI. È stata pescata nel mare, i pirati del mare sono andati a prenderla.
 

GIULIO SCHMIDT. Ma il proprietario di quella nave, contattato da Ilaria Alpi, era un italiano.

 

 

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ALI MAHDI. Hanno preso questa nave i ladri del mare, non ha mai attraccato nei porti della Somalia.
 

GIULIO SCHMIDT. Quella nave non era attraccata a Bosaso?
 

ALI MAHDI. No, né a Bosaso né in nessun altro porto della Somalia. Non solo ho scritto la lettera all'Italia, ho scritto anche all'Unosom di prendere quelle navi sotto il loro controllo. L'ho scritto al Presidente dello Yemen, Ali Abdullah Saleh, di prendere le navi per il Governo somalo.
 

GIULIO SCHMIDT. Le casse scaricate di Bosaso di cui si ha traccia nel filmato ripreso da Ilaria Alpi erano di un carico di una nave di Mugne o era un carico di una nave già presa dai pirati, ma che comunque c'era? Venivano riprese delle casse con la scritta «olio d'oliva», in modo insistente, perché evidentemente Ilaria pensava che dentro ci fosse qualcos'altro; almeno questo è la lettura che si può dare delle immagini, poi che sia vero non è possibile dirlo, ma certamente l'intenzione di Ilaria è quella.
Che fosse nel porto e che abbia scaricato materiali che comunque provenivano dall'Italia non c'è dubbio, l'olio d'oliva non è un prodotto estero, è un prodotto italiano.
 

PRESIDENTE. Ma non era la Shifco, la XXI Ottobre non c'entra niente con questa cosa.
 

GIULIO SCHMIDT. Quella che c'era a Bosaso non era della Shifco?
 

RAFFAELLO DE BRASI. Ha detto che non ha attraccato, era al largo.
 

GIULIO SCHMIDT. Come faceva ad essere al largo?
 

ALI MAHDI. I pirati che comandavano nel mare ...
 

GIULIO SCHMIDT. Su questo vorrei un po' di precisione. Come faceva ad essere al largo se è stata filmata da Ilaria Alpi? Non era al largo, era in porto.
 

ALI MAHDI. Non è possibile che una nave Shifco fosse attraccata in un porto somalo.
 

PRESIDENTE. Propongo di procedere in seduta segreta.
(Così rimane stabilito).
 

Dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo interno.
 

(La Commissione procede in seduta segreta).
 

PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo interno.
La ringraziamo, presidente.
 

ALI MAHDI. Presidente, spero che tutto vada bene, spero che si trovi ...
 

PRESIDENTE. Dipende molto da voi.
 

ALI MAHDI. Noi faremo tutto il possibile.
 

PRESIDENTE. La ringrazio e dichiaro concluso l'esame testimoniale.
 

Source:  http://www.camera.it/_dati/leg14/lavori/stenbic/58/2005/0907/s030.htm
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